La lettera
Mia dolce piccola bambina, benvenuta nella nostra famiglia. Benvenuta in Africa e al mondo. La tua nascita ci dà una forte ebbrezza. Ti ameremo e apprezzeremo e giuriamo di proteggerti e di salvaguardare la tua incolumità. So che apprenderai la storia del nostro popolo a scuola, ma credo pure che spesso la storia racconta solo ciò che riguarda uomini e ragazzi. Con questa lettera ti scrivo una storia per informarti che anche la vita delle donne e delle bambine è degna di essere raccontata. Inizierò la nostra storia con una delle più grandi conquiste del continente africano. Durante la seconda metà del secolo XX, ogni Paese africano ottenne l'indipendenza e così divenne libero di tracciare il proprio futuro. Ma mentre i Paesi venivano liberati, noi donne e bambine permanevamo ridotte in soggezione e per tanti anni abbiamo continuato a vivere oppresse e sopraffatte. Siamo state discriminate e trattate da "cittadini di seconda classe", considerate inferiori, soltanto per la ragione di essere donne. Un giorno capirai che la storia dell'Africa è stata scritta da altri punti di vista;
quello da cui adesso ti sto scrivendo io, vuole renderti consapevole delle disuguaglianze di genere che hanno pervaso l'Africa. Ciò non solo ha causato una dolorosa angoscia personale, ma ha stimolato il dilagare di fame e povertà, ha scatenato la virulenza di una delle peggiori malattie conosciute dall'umanità e ha permesso guerre sfrenate, ostilità e violenze.
La vita di una donna nell'Africa contadina
La nostra famiglia è sempre vissuta in un'area rurale dell'Africa, così come la maggioranza del popolo africano. Già da bambine, io e tutte le mie sorelle abbiamo sempre lavorato; non ci è stato concesso di vivere la nostra infanzia. Io ero la più grande, perciò mi fu affidato il compito di prendermi cura degli altri miei fratelli e
sorelle. Questo accadde quando avevo sei o sette anni. Andavo spesso con mia madre a raccogliere legna per il fuoco: ogni giorno percorrevamo miglia e miglia e presto imparai come portare pesanti carichi sul capo. Poi mi recavo con mia madre a prendere l'acqua, percorrendo lunghe distanze con pesanti recipienti sulla mia testa. Non avevamo opinioni su tutto ciò. Era l'unico mondo di cui eravamo a conoscenza. Quando sono diventata un po' più grande, ho iniziato a lavorare nei campi di famiglia. Ho continuato a fare questo lavoro man mano che crescevo, e anche da sposata.
Come tutte le donne contadine africane, ho vissuto una vita di lavoro, ingrato e massacrante; la cosa peggiore era la mancanza di riposo: nessuna pausa, era un continuo, giorno dopo giorno. Solo molto tempo dopo capii che noi, donne africane, assicuravamo l'80 per cento della produzione alimentare di tutto il continente e provvedevamo alla raccolta praticamente di tutta la legna e l'acqua necessarie alla
popolazione rurale. Non ci rendevamo conto che attraverso il nostro lavoro soddisfacevamo i bisogni basilari dell'intero continente. Avrei voluto che ognuna di noi ne fosse stata consapevole, così per lo meno, insieme ai nostri sforzi, avremmo provato una sensazione di orgoglio.
Mia madre cercò di farci frequentare la scuola, ma lavorare nei campi, procurare la legna e l'acqua, aver cura dei miei fratelli e sorelle e di quelli che stavano male e in pericolo di vita, lo resero praticamente impossibile.
Sono riuscita ad andare a scuola solo poche ore al giorno per un paio d'anni, ma per una ragazza l'istruzione non sembrava una cosa davvero importante. Sebbene noi donne garantissimo la produzione della maggior parte delle derrate alimentari, nessuno ci aiutava: non i nostri uomini, non le banche e tanto meno il governo. Non avevamo risorse da investire nei nostri campi, perché le banche si rifiutavano di concedere prestiti alle donne e i finanziamenti statali raramente erano disponibili. Non ci era permesso nemmeno di possedere la nostra stessa terra. E così, alla fine del XX secolo, l'Africa è stata l'unica regione al mondo a registrare un calo della produzione
alimentare e un aumento del numero delle persone affamate e viventi in condizioni di estrema povertà.
HIV-AIDS in Africa
Un'altra grande piaga del nostro continente, nella seconda metà del secolo XX, è stata l'HIV-AIDS. In tutto il mondo si soffriva di questa malattia, ma qui in Africa la sua diffusione è stata pandemica. All'inizio del nuovo secolo, 25 milioni di africani risultavano infetti e 17 milioni erano già morti a causa di tale malattia. Ancora una volta sono state le donne a pagare il prezzo maggiore. L'Africa è l'unica regione al mondo dove la malattia ha colpito più le donne che gli uomini. Milioni di noi sono state infettate soprattutto dai nostri uomini in casa o per abusi sessuali in conseguenza delle guerre e della violenza diffusa. La verità è che, nell'Africa sub-sahariana, le
disuguaglianze di genere sono state un fattore determinante nella rapida diffusione del virus HIV-AIDS. In quanto donne eravamo esposte a un particolare rischio, non essendo in nostro potere decidere se, come, quando, dove e soprattutto con quale frequenza intrattenere un rapporto sessuale.
Le disuguaglianze di genere, d'altro canto, ci rendevano del tutto disinformate sulla prevenzione e incapaci di proteggerci. Rappresentavamo l'ultima risorsa per quanto riguarda le cure per salvare una vita, l'assistenza a malati e moribondi, e ciò ha imposto su di noi un carico schiacciante. Il virus è stato devastante non solo
per noi quali individui e famiglie, ma per l'Africa intera. Abbiamo perso le persone più produttive: insegnanti, infermieri, agricoltori; abbiamo perso i nostri congiunti. Innumerevoli bambini si sono ritrovati orfani. Dopo la morte di milioni e milioni di uomini e donne, è diventato chiaro che senza un vaccino e senza il riconoscimento dei diritti delle donne, la pandemia non si sarebbe mai fermata. Mia cara bambina, mi duole moltissimo di scriverti su questi temi così tetri, ma non posso nasconderteli dopo averli vissuti.
Sento il bisogno di far ascoltare questa storia e di portarla anche a tua conoscenza, per cui mi decido ad andare avanti.
Guerra, conflitti e violenza
La terza sciagura che ha oppresso l'Africa alla fine del XX secolo, è la guerra. Guerre, conflitti e violenze, in particolare nei confronti di donne e bambine. Ci sono stati più di trenta conflitti armati. In ben due Paesi si è consumata la tragedia del genocidio. Più di 11 milioni di persone sono state uccise, altri milioni ferite o deportate. La violenza contro donne e bambine ha raggiunto dimensioni esorbitanti. E sebbene siano state le donne a soffrire più d'ogni altro le tragiche conseguenze della guerra, esse non hanno mai avuto alcuna voce in capitolo: non hanno partecipato all'elaborazione di
politiche che hanno quindi condotto alle guerre, né tanto meno al raggiungimento di decisioni che ne determinavano la continuazione. Se è vero che la violenza nei riguardi di donne e bambine aumentava al dilagare della guerra, gli abusi erano tuttavia una pratica costante anche nei tempi di pace e rimanevano largamente impuniti. In questo
modo, la violenza contro le donne era divenuta una regola accettata.
Lo stupro era diventato endemico, minaccia perenne; la violenza domestica era giunta ad essere una pratica quotidiana. Ci sentivamo in pericolo a scuola, percorrendo le strade del villaggio, perfino andando al mercato. Nemmeno la casa era un luogo sicuro. Milioni e milioni di ragazze e bambine erano sottoposte alla pratica della mutilazione genitale. Per ma la più grande infamia era che noi donne eravamo tenute in così bassa considerazione che, mettendo alla luce le nuove generazioni, una donna su sedici moriva. Alla fine del secolo, i tentativi di far funzionare un efficiente sistema sanitario e costruire società pacifiche e prospere, mentre una metà della popolazione rimaneva soggiogata, si rivelarono sempre più fallimentari. Miliardi e miliardi di dollari venivano indirizzati all'Africa, ma la gran parte di noi viveva in condizioni peggiori che all'inizio dell'indipendenza. Solo più tardi venni a sapere che in quel periodo il 75 per cento degli africani viveva con meno di due dollari al giorno. Il peggio era che non avevamo neanche il cibo per nutrire i nostri bambini.
Il Cambiamento
Furono anni bui, tristissimi, ma proprio allora ci fu l'inizio di un cambiamento. La Comunità internazionale riconobbe la leadership delle donne in Africa, assegnando il Nobel per la pace a Wangaari Maathai, un'ambientalista keniota. Furono approvate leggi che punivano la pratica della mutilazione genitale femminile. Nel 2004, l'Unione
africana adottò la "Dichiarazione solenne dell'uguaglianza di genere in Africa". Questa dichiarazione affermò i diritti delle donne e promise loro protezione dalla violenza e dalla discriminazione. In Ruanda, paese che ha vissuto la tragica esperienza del genocidio, i sopravvissuti capirono che avere più donne al potere avrebbe potuto prevenire lo sterminio. Essi quindi hanno eletto al parlamento un numero di donne superiore che in qualsiasi altro Stato del mondo: il 49 per cento! Ma, a mio avviso, l'evento che più ha accelerato il processo di trasformazione di tutto il continente, è stata l'elezione del primo presidente donna nella storia dell'Africa.
Mia cara piccola, non potevamo crederci. un presidente donna? In Africa ?! Mai avremmo potuto pensare che sarebbe potuto accadere. Con la sua elezione cominciammo a intravedere nuove possibilità anche per noi stesse. Sentimmo che per la prima volta nella nostra vita avevamo una voce, che eravamo degne di rispetto. che contavamo qualcosa.
Questo risveglio è iniziato lentamente, ma col tempo ha preso velocità. Quando le donne della campagna hanno imparato a leggere e a scrivere, hanno iniziato ad avere una nuova considerazione di se stesse. Si sono candidate e sono state elette nell'ambito dei governi locali e, ottenendo questi risultati, affermavano: "Anche io sono
Ellen Johnson Sirleaf!"
In Kenia, le ragazze Maasai hanno lottato per rimanere a studiare e non diventare spose-bambine. Hanno dovuto opporsi alle loro famiglie e alla comunità cui appartenevano per conquistare il diritto di stare a scuola ed essere istruite. E nella loro audacia hanno detto: "Anche io sono Ellen Johnson Sirleaf!" Una donna si è ribellata alla tradizione, culturalmente consolidata, della violenza domestica, portando suo marito davanti a una corte. La causa suscitò scalpore, in quanto l'uomo fu riconosciuto colpevole. Quella donna, nel compiere quel gesto coraggioso, disse: "Anche io sono Ellen Jaohnson Sirleaf!" Quando più di mille donne hanno marciato verso l'ufficio del loro Primo ministro e verso il loro Parlamento invocando maggiore
protezione da parte della polizia contro la violenza e pene più dure per i colpevoli, quel giorno hanno rotto la cospirazione del silenzio, un silenzio che stendeva un velo sulla violenza contro le donne. Quel giorno, nella loro solidarietà, hanno detto: "Anche io sono Ellen Johnson Sirleaf!"
Futuro
A un certo punto il cambiamento è diventato irreversibile, inarrestabile. Le condizioni delle donne nelle campagne sono migliorate. Hanno ottenuto accesso alla formazione, ai crediti, a sementi migliori e ad attrezzi appropriati. Un maggior numero delle
nostre ragazze è andato a scuola. Donne e bambine hanno avuto assistenza medica e si è cominciato a dare applicazione alle leggi finalizzate a proteggerci. Ogni anno, sempre più donne sono state elette ai consigli di villaggio, ai parlamenti e nominate in seno all'Unione africana. Quasi subito abbiamo cominciato a vedere i risultati. Le donne producevano più cibo; morivano di parto in numero minore; le nostre famiglie stavano meglio; i nostri bambini sopravvivevano ed erano nutriti meglio. L'Africa stava sperimentando una grande verità: che quando viene conferito potere alle donne, una volta liberate le loro vite da impedimenti e costrizioni, ne beneficia
tutta la società.
Mia cara piccola bambina, tu sei l'ultima di una lunga generazione di forti, coraggiose e audaci donne africane. Prego affinché tu ti unisca alla moltitudine delle tue sorelle e al crescente numero dei tuoi fratelli che, in Africa e nel Mondo, s'impegnano per ottenere che tutti - ragazzi e ragazze, donne e uomini, proprio tutti - possano vivere una vita di uguaglianza, autosufficienza e dignità.